Zia Comasia

08.12.2020

Il Natale era per noi famiglia Bello una spola fra nonni paterni e materni. E in questa occasione naturalmente era obbligo la visita ai parenti. Comasia era la zia di mio padre. Abitava a Martina Franca, il paese dei trulli. Potete quindi immaginare cos'era per me andare a trovare questa gentile vecchietta. Passeggiare mano nella mano con papà, per le stradine imbiancate dalla neve, mi faceva sentire come nel paese degli gnomi. E da questo mio torpore ero risvegliata dalle mie sorelle che, prese da brio natalizio, mi tiravano palle di neve. Si scatenava a quel punto una lotta corpo a corpo tra gnomi (cioè io) ed elfi (le mie sorelle). Essendo in minoranza perdevo sempre ed arrivavo correndo trafelata dalla zia Comasia, che mi aspettava sorridendo. Tenendo stretto il suo scialle, riusciva lo stesso ad allargare le braccia e afferrarmi per spapuzzarmi tutta. Ridevo per il solletico che mi faceva con quelle sue manine piccole deformate dall'artrite. Anche se da gnomo avevo perso la battaglia con gli elfi, in realtà vincevo un sacco di coccole, che per le mie sorelle, in quanto più adulte, erano fuori luogo. La sua era una casetta piccina piccio', proprio alla mia portata. Mi piaceva toccare quei mobili antichi, tirati a lucido da mani pazienti. Ma ciò che più attirava la mia attenzione era un como' posto all'entrata. Era un bel mobile che sembrava uscire proprio da una favola. Di legno color miele era bombato e ogni cassetto decorato con intarsi di fiori. Su di esso uno specchio, dove io, troppo piccola non riuscivo a guardare, e per questo mi arrampicavo con le manine curiose ad afferrare gli oggetti posti sul ripiano di marmo. Senza romperli, per osservarli meglio. C'era una scatolina di ceramica che al suo interno conteneva una rosa ormai prosciugata dal tempo. Un trittico intarsiato d'argento che comprendeva un pettine, una spazzola ed uno specchio dal lungo manico. E poi c'era un portafoto. "Chi è zia?"domandavo, cercando disperatamente di aprire un cassetto, dove sapevo esserci i tarallini che aveva preparato per noi. Apro una parentesi per spiegare che i taralli sono dei biscotti salati impastati con olio, vino e semi di finocchietto selvatico. Non ne avrei più gustati di così buoni. Desideravo ardentemente mangiarne uno, e la mia frenesia doveva essere evidente perché lei, come una fata buona, arrivò subito per donarmi il sacchetto chiuso con un nastro di merletto, che aveva preparato proprio per me. Avrete ormai capito che il profumo dei cibi accompagna tutti i miei migliori ricordi, e quando aprii il sacchetto l'odore che ne fuoriuscì mi fece venire l'acquolina in bocca. Presi un biscotto e gli diedi un morso, sotto lo sguardo divertito della zia. Dopo il primo croc le briciole di sparsero ovunque, ma io non avevo dimenticato la domanda fatta. "Chi è zia quell'uomo nella foto?" ripetei, curiosa di sapere chi fosse quell'uomo dal viso avvenente con la barbetta a punta. Gli occhi sorridenti dietro gli occhiali, si velarono di malinconia: "Era il mio fidanzato, il mio unico amore", e una lacrima le scese nel bel viso segnato dagli anni. Si incastro' decisa in una ruga, assumendo l'aspetto di un fiumiciattolo che scorre lentamente. Le diedi un bacio portandole via la lacrima, e i suoi occhi, che da anni vedevano solo ombre, si posarono su di me, le sue mani mi carezzarono, la sua voce continuo' risvegliando i ricordi: 

"Si chiamava Peppino, e viveva nella tua bella Sicilia, precisamente a Palermo. Era un militare qui a Martina Franca. Ci incontrammo in chiesa, i suoi occhi chiarissimi non mi lasciarono un istante. Ci innamorammo, e sguardo dopo sguardo, sorriso dopo sorriso, lui mi chiese in sposa. Ma il nonno Francesco non volle acconsentire a questo matrimonio che mi avrebbe portato lontano." 

"Cosa vuole questo signore?" urlo' mio padre. 

"Solo il mio amore, papà" risposi mesta.

"Devi rimanere qui, nella tua terra, con me" mi intimò.

" O lui o nessun altro." risposi gelida.

"E così fu. Peppino mi lasciò una rosa prima di partire. Io gli lasciai il mio cuore." Durante il racconto le tenevo la mano, pur continuando a mangiare taralli. La baciai riempiendola di molliche. Mi abbraccio' tenendomi stretta. 

Oggi che sono adulta, ripenso a questa dolce nonnina/zia e considero che la vita è proprio strana e segue strade tortuose. 

Una pugliese e un siciliano non sono riusciti a coronare il loro sogno d'amore. Un pugliese e una siciliana, parecchi anni più tardi costruirono una famiglia. Forse è per questo che i suoi taralli avevano il sapore dell'amore...

© 2020 Eunice Bello. Tutti i diritti riservati.
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