Un papà imperfetto

19.03.2021
Mi guardo allo specchio sbadatamente prima di andare al lavoro. Sistemo i capelli che continuano a ricadere incuranti. Per un attimo, mentre con rassegnazione allontano un riccio attorcigliato dagli occhiali, con malinconia e un tuffo al cuore, rivedo in me quella bambina che, con occhi sognanti, guarda il padre. È innamorata di lui, o meglio, del suo universo. 

Si tocca i capelli capricciosi per avvicinare la sua piccola manina a quella possente del padre. Si lascia accarezzare e avvolgere, per sentire il suo profumo, per avvertirne la forza, consapevole della sua protezione. Così mi sento ancora, con quel desiderio di abbracci, con quella voglia di sentire la sua voce autorevole, consapevole della nostra somiglianza, cosciente della sua assenza. Sorrido mesta, una ruga si disegna sulla mia fronte. Tocco la cicatrice sul cuore, mentre, assalita dai ricordi, rifletto. Era più semplice una volta essere padri, era più semplice essere figlie: bastava sostenersi con amore. Ed è questo che ricordo di lui: il sostegno nonostante tutto. Nell'incapacità di gestire il mio silenzio e le mie complicazioni, ho sempre avuto la certezza del suo esserci. Non un padre modello, ma un padre vero, pieno di dubbi ed egoismi. Un padre stanco, duro a volte, ma di grande sensibilità. Un padre forte, capace di soffiare sulle mie paure. Un padre che, con difficoltà si sforzava di comprendere questa figlia problematica. Con occhi scrutatori riusciva a leggere i miei peccati, arrabbiarsi, scuotermi, impaurirmi, perdonarmi...e soffrire... 

Oggi ricordo con dolcezza quei "viaggi solitari fino al giardino vicino casa", insieme al gatto che amava seguirci nelle nostre avventure. Momenti solo per noi, in cui l'invadenza di una famiglia rumorosa, era lontana, permettendoci di gustare la quiete di uno scorrere lento, ormai irraggiungibile. Momenti in cui scoprivo la vita in un fiore, in un insetto, in una lucertola. Momenti in cui apprezzavo la serenità di quel tempo con mio padre, in cui ho imparato a vedere dentro le cose, a rigirare fra le mani i miei pensieri, per scoprirne altre sfaccettature, per osservare anche l'invisibile. A scrutarmi dentro, con ferocia anche, senza difese. A intenerirmi per la mia debolezza, per trovare in fondo a me stessa la forza per spostare le montagne. E capire, dopo questo viaggio interiore, che mio padre era lì, mi teneva per mano, mi sorrideva, comprendendo uno sforzo che era anche il suo, mi sosteneva con uno sguardo che non aveva bisogno di parole, capace com'era di leggere il mio animo così simile al suo. © 

© 2020 Eunice Bello. Tutti i diritti riservati.
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