SERPENTE ROSSO

Nel giorno in cui mi hanno strappata alla mia famiglia, la notte non mi ha più abbandonata.
Mi circonda, mi avvolge, mi stritola col suo olezzo, nonostante il cielo si riempia d'azzurro e il sole accechi il deserto. Il burka, nero come il veleno nel cuore degli jihadisti, oscura i riflessi smeraldo dei miei occhi e lascia scolorire il rubino dalle mie labbra.
Ho freddo, e nonostante il caldo sciolga le scarpe, non riesce a liquefare l'odio di uomini vigliacchi, che combattono le guerre sui corpi delle donne. Ho freddo mentre il mio padrone mi violenta e le lacrime mi rigano il volto.
Sono una schiava curda senza nome, sottomessa contro la mia volontà. Inghiotto rumorosamente mentre lo osservo distruggere la mia intimità e il mio orgoglio. L' odio cresce nel mio corpo, la rabbia profonda mi attraversa le viscere, scorre fra le vene e arriva con la forza di una valanga, fra le dita delicate delle mie mani. Soffio forte per sopportare l'ennesimo attacco, soffocando un conato di disgusto al solo suo odore.
Cerco la luce in questa notte eterna e volgo lo sguardo verso quella fessura nel muro che lascia trapelare un po' di chiarore, ma non lo scorrere del tempo.
Un bagliore illumina il metallo di un coltello. Quel coltello che lui ha abbandonato sul tavolo nella sicurezza della mia remissività. Io non respiro più dal freddo. Le ossa sembrano spezzarsi per il gelo che si trasforma in ghiaccio, ed ecco che le mie mani diventano artigli che graffiano i suoi occhi neri, inebetiti di fronte alla violenza di una donna. Afferro il coltello e lo colpisco in pieno viso. Il sangue sgorga a fiotti insieme alle urla animalesche, ma io colpisco ancora, e ancora, e ancora, per fare uscire quel freddo dal mio corpo, per riscaldarmi col suo sangue caldo. Sicuramente, dopo l'onta della morte per mano di una donna, non potrà godere del paradiso. Sogghigno con le mani insanguinate.
Passano le ore, e io sono ancora qui a colpirlo. Non ho fretta, mi godo il caldo che mi scalda le vene. È passato molto tempo e solo adesso, dopo aver osservato le mosche banchettare con la sua carne putrida, mi alzo nell'oscurità della notte, mi segno il viso col suo sangue e mi dirigo altera, come un serpente rosso, verso il deserto. Senza veli neri, senza freddo, fra quelle donne rivoluzionarie e indomabili che combattono l'Isis.
Da vittima a donna col kalashnikov.
Una sciarpa colorata avvolge i miei capelli mentre allontano l'orrore che mi circonda, con fierezza, intonando una canzone.
Uccido quegli uomini che uccidono le donne, perché nulla è più importante della libertà, ma consapevole che, quando le donne si ribellano, vengono cancellate dalla storia.
Io no. Io sono Zara.