Picchio e Santa Lucia


Avevo un uccellino nero, nero come il carbone. Emanuele Filiberto di Savoia era il nome che gli avevo dato per la classe con cui portava il suo frack. Le piume sempre lucide facevano spiccare il suo becco giallo da merlo. Gli occhietti vispi sempre fissi al televisore, in attesa di musica leggera che potesse accompagnare il suo canto. Un gorgheggio lungo e delicato, come il battito delle sue ali quando, approfittando di un po' di libertà, volteggiava fra le pareti della stanza rosa come il desiderio, dondolandosi sulle foglie grandi della kensia per sgranchirsi meglio, e appoggiandosi sul lampadario per osservare gli umani dall'alto. Erano momenti di dolcezza ed era difficile riportarlo nella gabbietta. Ma un modo c'era: trasportare un vermicello di corda con appeso un ghiotto bocconcino. Lo seguiva zampettando, con l'acquolina in becco. Poi, con la vivacità che lo contraddistingueva, cominciava a picchiare sulla corda. Fu per questo che il suo soprannome diventò Picchio: breve e conciso, specchio del suo carattere biricchino.
Un giorno, dall'alto della mia intelligenza, decisi di fargli un regalo, per permettergli di passare con più allegria, una giornata di solitudine lavorativa: appesi alla gabbia una cordicella con un pendolino. Picchio, dopo le consuete abluzioni mattutine per rendere splendente il suo manto nero, sembrò apprezzare questo oggettino da picchiare e scaricare così la tensione con un po' di sano king-boxing. Soddisfatta lo lasciai fare e, col sorriso beato ben stampato in viso, mi recai al lavoro. Ma la felicità per la mia brillante trovata, mi morì in volto quando, a tarda sera, ritornai a casa. Il povero Picchio stava soffocando per aver ingoiato centimetri e centimetri di cordicella, scambiandola sicuramente per un grosso vermiciattolo. Provai a tirarla fuori, ma ne aveva ingoiato troppo. Allora presa dalla disperazione, la tagliai, cercando di non far male alla sua piccola lingua. Sembrò riprendersi dopo aver bevuto tanta acqua.
Il giorno dopo, in seguito ad una notte insonne, lo portai dal veterinario. "Cara Eunice, sarà difficile che possa sopravvivere perché la cordicella, depositata a mucchio nello stomachino, ha formato un vero e proprio tappo, che provocherà la morte per occlusione. L' unico tentativo sarà somministrare olio di ricino per cercare di farlo evacuare. Ma sappi: ci vuole un miracolo. Preparati al peggio..." Lacrime copiose scivolarono sul mio viso, miste ai sensi di colpa, nel guardare il povero Picchio costretto ad ingurgitare olio di ricino. Lo lasciai nelle mani affettuose del mio veterinario per tre giorni. Lo riportai a casa, unto come una frittella, ancora un tutt'uno con la cordicella, pronta ormai a salutarlo per sempre. Col cuore piccolo entrai in Chiesa a chiedere aiuto a quella Santa che tutto vede. Pregai di non farlo morire per colpa mia. Le baciai gli occhi e tornai a casa. E sul trespolo della gabbietta, c'era proprio lui, il mio tenero Picchio che zampettava per rendermi partecipe del "piccolo" dono sul fondo della voliera: circa 1 metro di cordicella...non avevo parole, era riuscito a liberarsi di ciò che l'avrebbe ucciso!
È così che diventai devota di Santa Lucia...