Pazzia

Fu lì che la vidi per la prima volta. Nel manicomio di Bressanone. Una ragazzina dal viso d'angelo, con gli occhi grigi come il cielo arrabbiato. E fu la sua rabbia a colpirmi, mi penetrò con quei suoi occhi d'acciaio per sezionarmi nell'animo. Ero un medico del manicomio, il mio compito era quello di stordire la ribellione femminile, ma quegli occhi mi seguivano scrutatori mentre mi agitavo di fronte a lei, incapace di farle del male, incollati sui miei vestiti anche quando tornavo a casa. Le notti erano incubi, la sua pelle di velluto mi inseguiva sotto le lenzuola, i suoi occhi mi giudicavano attraverso le ciglia curve, con quel mezzo sorriso, capace di provocarmi brividi di piacere misti a paura. "È una ragazzina ribelle, irrispettosa e pazza", dicevano le carte che ogni giorno, avido di curiosità, sfogliavo per riuscire a controllare la mente di quella creatura che rendeva le mie notti insonni, per carpire l'essenza di quel corpo, col desiderio "pazzo" di sfiorarlo, incurante della sua "pazzia".
Un giorno arrivò il suo turno per l'elettroshock. La feci sedere sulla sedia, mentre tremando avvicinavo i fili elettrici ai fili d'oro dei suoi capelli. Con quegli occhi indagatori fissava beffarda il mio tremore. Non aveva paura. Ne avevo io. La amavo o forse la desideravo. Lei rise, di una risata forte. Aveva capito e ne approfittava. La carne è debole, e io non seppi resistere. Tremando come un bambino mi avvicinai a quelle labbra di zucchero per assaggiare la vita. Lei rimase immobile, con quel suo sorriso. Io allontanai i fili elettrici per accarezzarne i capelli. La riportai in camera, e mentre il sangue scompariva dal mio corpo, il mio cuore pompava amore. Tornai a casa. Non dormii, così preso dal desiderio di lei. Come un sonnambulo la cercai nella notte. Con la stessa pazzia di cui era accusata, la rapii. Lei non disse nulla, né urlò, sorrise e basta. Furono giorni strani: impegnato a far passare come una fuga la sua scomparsa, studiavo il modo per farmi amare. Lei non parlò per molto tempo, non reagì al mio tocco delicato, ma giorno dopo giorno, cambiò il suo sorriso: da beffardo divenne sereno, da indagatore divenne accogliente, da sprezzante divenne amorevole. E poi un giorno, udii finalmente la sua voce. Carezzando come il velluto il mio bramoso ego mi disse che mi amava, per la natura gentile dei miei modi, per averla portata via da quel posto in cui aveva perso la parola e la dignità. Si concesse nella piena libertà dei sensi, mentre il fuoco della passione accendeva i nostri corpi. Le nostre mani cercavano l'anima dell'altro, per afferrarla e conservarla vicino al cuore. Come un elettroshock avemmo la consapevolezza della nostra esplosione. Un'emozione intensa, un flash luminoso che pazzamente portò il nostro cuore in fibrillazione...
Ci trovarono così, dopo qualche giorno, avvinghiati nella morte di questa pazza vita. La sua pazzia diventò la mia. Il nostro amore la pazzia degli altri.
14 marzo 1890. ©