L'ALBERO DELLA SCLERODERMIA

"Sono
un albero raro. Sono l'albero della Sclerodermia. Ma prima ero un uomo.
Prima che la sua corteccia spezzasse la mia pelle ad ogni movimento.
Sono suo prigioniero. Prigioniero di un involucro ligneo. Non so come
sia potuto accadere, quasi non me ne sono accorto. Un seme si è nutrito
del mio corpo, ed è cresciuto silente, allargando e spandendo le sue
radici fra le viscere, ingrossando i suoi rami fra gli arti in
movimento. Con la leggerezza della linfa, come una carezza, si è
adattato alla vita, costringendomi alla morte.
Io ero un uomo
gioioso. Si, non allegro. Proprio gioioso. E ancora oggi, in piena
trasformazione, riesco a vedere la bellezza anche attraverso queste
venature, anche attraverso i cerchi concentrici di questa corteccia
contenitiva. Vitalità, creatività e pacatezza è il mix che mi
contraddistingue ed è stato normale che i colori ad essi annessi, rosso,
giallo e un pizzico di blu, abbiano prodotto questo marrone, figlio di
una corteccia fasciante del mio corpo malleabile e martoriato. È un peso
che mi schiaccia i polmoni, permettendomi solo debolmente di respirare,
ma rigido come Pinocchio, sorrido e mi faccio beffe della vita."
"Io sono una donna strana. Ho mille sfaccettature di sensibilita' e mille gradi di percezione, ed ho conosciuto quest'uomo prigioniero di un albero. Un albero stregato, come in una favola. Ho visto l'albero schiacciare con forza la sua voglia di essere uomo, senza riuscire, nonostante tutto, a contenere un urlo vitale in continua espansione. Avrei voluto essere la fata Turchina per renderlo di nuovo bambino."
"La vita è dura, mia cara donna strana. La corteccia mi ha ormai stritolato i polmoni con le sue spire ardenti. Respiro mentre l'aria mi scoppia dentro, ma è la luce che vedo adesso, ed un sorriso mi compare sul viso. Abbandono questa corteccia avvolgente e mi libro nell'aria leggero, finalmente capace di muovermi."
Piango ululando da donna strana per la dolcezza della sua liberazione e il dolore nel mio petto. Ma è la sua gioia che percepisco ancora oggi. Mi è rimasta attaccata alla pelle e, quando la tristezza si impossessa della mia anima, non posso fare a meno di pensare al sorriso di questo uomo-albero che tenendomi le mani, attraverso la pelle, mi ha trasmesso linfa vitale.
Dedicato a Franco Carone