La macchina arrivò

08.05.2020

La macchina arrivò, una bellissima 850 coupé color nocciola. La famiglia si era ingrandita, era un passo necessario. Splendente la rimiravamo dal balcone, come un oggetto prezioso. Lucida nella sua carrozzeria sembrava pavoneggiarsi, proprio come una donna di famiglia. Snella e sinuosa era tenuta in gran considerazione dal capofamiglia. Anni di apprendistato, gli avevano reso semplice capire il mondo complicato delle donne. Si perché, l'avrete capito, anche lei era femmina... Sembrava sorridere nell'accoglierci tutti insieme, costretta ogni volta ad una nuova avventura. Papà guidava, mamma blaterava, la sorella maggiore, sguardo fisso a terra, braccia incrociate, aveva un muso su cui si poteva camminare; la sorella intermedia era un continuo movimento, si girava di qua, si girava di là, facendo sobbalzare il povero padre. L'unica beata ero io. Al centro della situazione, cioè fra le due sorelle, mi beavo della loro morbidezza: potevo appoggiarmi a destra come a sinistra, su un morbido cuscino, schiacciare un sonnellino con un sottofondo rumoroso di mugugni, brontolii, risate, e parole. Sognavo, il tempo della strada, di grandi avventure con la mia bacchetta magica. Arrivati a destinazione, papà era sempre in grado di parcheggiare su una pozzanghera. La mamma, che con cura millimetrica si era preparata, apriva lentamente la portiera e mentre stava per poggiare il piedino, rendendosi conto della situazione, produceva una scia di fumo che gli usciva dal naso. Il silenzio a quel punto ci avvolgeva. Gli sguardi catalizzati su mio padre. Mio padre, senza una parola, rimetteva in moto e spostava la macchina un po' più in là. La macchina con un sussulto, pari ad un sogghigno si spostava. Pargheggiata, chiudeva i suoi occhi farosi e attendeva felice il ritorno di questa famiglia ingarbugliata. 

© 2020 Eunice Bello. Tutti i diritti riservati.
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