Eunice

Vi racconterò una storia,
una storia che va oltre il tempo, che supera millenni, per approdare, leggiadra
come una farfalla, nel cuore incantato di una bambina. Quella bambina ero
proprio io, curiosa e impertinente, costringevo mio padre a tenermi, suo
malgrado, sulle gambe, proprio nei momenti in cui si dedicava allo studio o
alla lettura. Erano per lui momenti di ristoro, di meditazione, di conoscenza
e, diciamolo pure, momenti in cui poteva ritrovare sé stesso. Chiudeva la
porta, lasciando fuori quel nugolo di chiacchiericcio femminile che poco
riusciva a gestire: un animo gentile non poteva vincere le sue battaglie con
l'arguzia femminile che aleggiava nella nostra casa. Era un pomeriggio
d'autunno quando mio padre, constatando che le sue donne erano in tutt'altra
cosa affaccendate, decise silente, come un gatto che vuole acchiappare il topo,
di sgattaiolare nel suo studio, per potersi rilassare con la lettura. Pura
utopia, o comunque momenti più unici che rari, in un ambiente in cui le donne
abbondavano. Neanche stavolta fu fortunato. La piccola di casa, cioè io, aveva
fiuto per ogni suo movimento, lo osservava con la coda dell'occhio, per la
necessità fisica che aveva della sua presenza. Come una piccola detective, lo
seguii, aprendo la porta piano piano, ben attenta a sfoderare il mio sorriso
più ammaliante. Papà sospirò e io mi avvicinai. Era, come spesso faceva,
immerso in un libro di arte. Mi accomodai sulle sue gambe, riscaldandomi con le
sue braccia affettuose. "Adesso fai la brava e mi fai leggere, va
bene?" Mi disse speranzoso. Annuii con la testa, sbirciando curiosa fra
quelle pagine profumate di storia, bloccando ogni suo sfogliare per osservare
un'immagine seducente, fermando ogni suo pensiero per chiedere una spiegazione,
afferrando la sua mano per chiedere una carezza. Ben presto mio padre capì di
non avere speranza, e allora, sospirando come Giobbe, mi permise di entrare in
una storia..." Vuoi sapere perché ti chiami Eunice?" Stavolta fui io
ad annuire spalancando gli occhi.
E fu così che conobbi l'alter ego di me stessa.
"Sono Eunice, una schiava greca di bellissimo aspetto. Le mie sembianze seducenti e i miei modi servizievoli, mi permettono di avere un posto di rilievo nella casa del mio padrone, l'elegante Petronio. Raffinato esteta della Roma ai tempi dell'imperatore Nerone. I suoi modi gentili nel trattare con me, la sua bellezza raffinata, il suo sorriso accattivante, hanno fatto breccia nel mio cuore. Io sono solo un'umile schiava, ma felice di servire il mio amato." La imitò con fare femmineo.
Il mio cuore di bambina comincio' a sospirare, pur sorridendo per la buffa interpretazione. Sbattendo le ciglia con aria civettuola lo pregai di continuare.
"La bella Eunice era innamorata," disse mio padre, "ma Petronio, dall'alto della sua grandezza, passava oltre. Come un semidio sulla terra, non percepiva le emozioni di una semplice schiava. Lei non aveva altra scelta che adorarlo. Per non privarsi della sua visione, nei momenti della sua assenza, contemplava sognante la statua di marmo bianco che lo riproduceva. Un giorno, immaginando di essere fra le sue braccia, avvicino' le labbra morbide a quelle di pietra del suo amato. Diventò un rito giornaliero per colmare la fame d'amore che straziava il suo cuore. Passavano i giorni, uno dietro l'altro in fila nell'anima, ma ecco che un dì, Petronio, passando silenzioso nell'unctorium, la vide. Dapprima abbagliato dalla luce del sole, che si riversava senza ritegno fra i marmi dell'ambiente, con gli occhi socchiusi, non comprese il suo gesto. Poi,osservandola sfiorare con le mani il suo viso di marmo, udendo la voce soffusa dell'amore decantare le sue fattezze, Il suo ego salì alle stelle. Nei giorni a venire, la osservò con più attenzione: la bocca tremante e i ricci capelli, sparsi con ordine sul bianco peplo, riuscirono ad incantarlo, ma al contempo percepì, in quella leggiadra creatura, una dolcezza inusuale. Una bellezza d'animo che riuscì, come un dardo, a colpire il suo cuore. Piano piano, si emozionò. Piano piano la vampa dell'amore lo avvolse fra le sue fiamme."
Interruppi mio padre con un lungo sospiro che lo fece sorridere. "L'amore li avvolse come un turbine. Ma si sa, c'è sempre qualcosa capace di distruggere la felicità. E un giorno Petronio, avendo abbracciato la religione cristiana insieme ad Eunice, fu condannato a morte dall'imperatore Nerone."
Mi strinsi forte a mio padre, ben conoscevo le sorti dei cristiani.
Lui intenerito continuo': " Petronio allora organizzò un'ultima cena.." "Proprio come fece Gesù?" "Forse piccola mia, forse."
"... egli decise di incontrare i suoi amici più fidati, per ufficializzare la decisione di rendere Eunice una donna libera, decantando davanti a testimoni il suo amore per lei, lasciandola erede di tutti i suoi averi. Poi, con la classe che lo contraddistingueva, deciso ad abbandonare la vita, si fece tagliare i polsi dal suo medico personale. Ma Eunice, che non poteva vivere senza di lui, porse anche lei il braccio. Uniti nella vita come nella morte. Il sangue rosso del loro amore si mescolò alle note dei cantori, vibranti ed impetuose come il loro turbamento.
Con la loro morte finiva un'epoca: quella della bellezza e della poesia."
Commossa e triste nello stesso tempo, guardavo mio padre col fiato sospeso dall'emozione.
"Era così attraente la sua descrizione che quando sei nata, ho desiderato regalarti la sua bellezza, quella dell'anima." Così finì mio padre, carezzando quei capelli, che come per incanto, erano così simili a quell'Eunice a cui dovevo il nome.
Così sono cresciuta, fra i racconti di mio padre e i tentativi di non sminuire il nome che mi era stato donato. E poi...mio padre si chiamava Pietro... ©